La Giornata della Memoria è celebrata ogni anno il 27 gennaio e ricorda il giorno in cui nel 1945 i russi entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz liberando i sopravvissuti.
Lo Stato Italiano ha emanato la legge 211 del 20 luglio del 2000 secondo cui ogni 27 gennaio la Giornata della Memoria deve essere celebrata al fine di non dimenticare la Shoah, cioè lo sterminio di milioni di ebrei ma anche le leggi razziali approvate durante il fascismo e tutti coloro che si sono opposti ai nazisti rischiando anche la vita. Un contributo pagato anche dalla provincia di Salerno, dove tantissimi soldati rimasero prigionieri nei campi nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 in cui l’Italia si arrendeva agli alleati.
Tra le testimonianze riportate c’è quella di Martino Romano, soldato di Serre, raccontataci dal nipote don Martino Romano.
Nato il 17 marzo 1916, figlio di Vito Romano e di Maria Giuseppa Di Salvatore, Martino venne chiamato alle armi il 18 maggio 1937 ed assegnato al 2º Reggimento Artiglieria Contraerea.
Il 21 maggio s’imbarcò a Bari per sbarcare a Rodi e qui adempì tranquillamente ai suoi obblighi di leva fino al 24 agosto 1938. Dopo essere rientrato in Italia ed essere stato posto in congedo illimitato, dopo meno di un anno venne richiamato per istruzione e ripartì per l’Egeo imbarcandosi a Bari e sbarcando nuovamente a Rodi. Venne assegnato al 50º reggimento Artiglieria per essere trasferito l’11 febbraio 1940 al 35º Raggruppamento Artiglieria. Con l’entrata in guerra dell’Italia il soldato diventò caporale: l’8 settembre 1943 venne catturato a Rodi dai tedeschi e condotto prima in Iugoslavia e successivamente in Germania. Resterà prigioniero fino all’8 maggio 1945.
“Nonno ha portato addosso questa impronta bellica – ci racconta don Martino Romano – suo papà, infatti, partito nel corso della 1^ Guerra Mondiale, non è mai tornato a casa e ha perso la vita al fronte. Le sue spoglie si trovano in Puglia. Lasciò così la moglie e 10 figli. L’infanzia e la giovinezza sono state vissute in campagna, con la mamma, nell’armonia della natura: nonno si occupava di arare i campi con i buoi. Una volta chiamato al fronte, è partito adempiendo a tutti i suoi obblighi come artigliere”.
Martino, dunque, si ritrova in seguito prigioniero nei nazisti: “Non amava parlare molto di questo capitolo della sua vita. Attraverso nonna, abbiamo appreso alcune cose come il fatto che avesse patito tantissimo il freddo, la fame, l’attesa per qualche buccia di patata, i lavori forzati. Soprattutto il vivere alla giornata. La paura era quella di fare la stessa fine di suo padre e non tornare mai più a casa”.
“Una volta tornato – racconta ancora il nipote – ha sempre ricercato la solitudine, prediligendo la natura. Da qui si capisce che quanto ha vissuto ha provocato una ferita profonda nella sua esistenza. La guerra sembra quasi che non ci appartenga, ma è attraverso i racconti che abbiamo delle testimonianze che ci riconducono al presente e fanno riflettere. Siamo testimoni dei testimoni e questo lo ricordo spesso anche nelle mie omelie”.
Il parroco fa inoltre riferimento ai tragici fatti del 17 settembre 1943, quando il comune di Serre fu coinvolto in gravissimi e pesanti bombardamenti che oltre a distruggere case e strade, costarono la vita a novantasei persone.
Martino Romano tornò in Italia il 2 dicembre 1946 per essere ricollocato definitivamente in congedo il 2 febbraio 1947. Si è sposato a 32 anni. Gli sono state riconosciute le campagne di guerra dal 1940 al ’45 e conferite 3 Croci al Merito di guerra.
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo.
Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”.
José Saramago