Il 28 febbraio si celebra la Giornata mondiale dedicata alle malattie rare. Patologie che, secondo le ultime statistiche, sarebbero circa 10mila. In Italia, a soffrirne, sono circa 2 milioni di persone, il 70% in età pediatrica.
In occasione di questa Giornata abbiamo raccolto la testimonianza di Giulia Iannuzzi, mamma del piccolo Samuele Marcelli, per conoscere più da vicino una storia fatta di tanto coraggio e grandi sfide quotidiane. Samuele, 7 anni, vive a Polla con i suoi genitori ed un fratello: è affetto da oloprosencefalia semilombare e tetraparesi spastico distonica.
“Samuele è un bimbo che sorride e che ci dà la forza di andare avanti – racconta mamma Giulia – cerchiamo di rendere la sua vita più semplice”.
- Giulia, cos’è l’oloprosencefalia semilombare?
L’oloprosencefalia semilombare è una malattia rara che si manifesta nei primissimi mesi di gravidanza, c’è un arresto del normale sviluppo del sistema nervoso. Questa malattia colpisce 1 bimbo ogni 16mila nati vivi, 1 bimbo ogni 250mila embrioni analizzati tra vivi e morti. Sono dati importanti, in Italia è molto rara: in questi 7 anni ho trovato pochissimi bimbi, fortunatamente, e riesco a parlare da qualche anno con delle mamme in America con le quali riesco a rapportarmi per condividere gli stessi percorsi. In Italia quei pochi bimbi trovati non sono, fortunatamente, gravi come Samuele. Questa malattia dovrebbe essere diagnosticata nei primi 3 mesi di gravidanza.
- Quando avete scoperto di Samuele?
Samuele nasce senza diagnosi, noi sapevamo di aspettare un bimbo sano. I suoi primi 40 giorni sono stati più o meno normali. Purtroppo piangeva ininterrottamente e forse il mio sesto senso mi ha spinta a non fermarmi. Ho consultato una pediatra a Viggiano, in seguito abbiamo svolto un consulto a Salerno con un ecografista e il giorno dopo siamo partiti per il ‘Gaslini’ di Genova viaggiando tutta la notte, io e mio marito, senza dire niente a nessuno perché avevamo capito che la situazione era molto grave e il tempo a disposizione era poco. Arrivati a Genova abbiamo scoperto tutto e la nostra vita è come se si fosse fermata quel giorno: quando si ha una diagnosi così importante si cambia. Abbiamo fatto tanti esami genetici, non ci siamo fermati al primo: uno di questi fu inviato in Germania dove fu scoperto il gene coinvolto in questa malattia. Ormai dopo tantissimi anni ho letto tutto ciò che la letteratura medico-scientifica potesse far avere: manuali, testi. Volevo conoscere questa malattia e soprattutto capire come fosse questa ‘bestia’ che fronteggio ogni giorno.
- Come avete reagito tu e tuo marito?
La prima reazione è stata di negazione, accompagnata dalla fatidica domanda ‘perché a noi?’. Il primo mese è stato tragico, siamo rimasti a Genova per molto tempo. La situazione di Samuele, infatti, era precipitata talmente tanto che una sera mi fu suggerito di battezzarlo. La mia fortuna è stata quella di approdare in un centro che è un polo di eccellenza medica ma anche umana. Abbiamo trovato vicino a noi un team di esperti che ci hanno supportato umanamente e psicologicamente.
- Quali attenzioni sono necessarie per garantire a Samuele il miglior tipo di vita possibile?
Samuele non muove nessun arto, non mangia, non beve. Ha bisogno di assistenza h24. Mangia attraverso un sondino sul suo pancino. Durante la giornata va messo sulla sua sediolina speciale, va girato spesso. Samuele è un bambino che da un anno e mezzo fa la terapia del dolore e che arriva a prendere da 11 a 20 farmaci ogni giorno. E’ un lavoro a tempo pieno, ho infatti messo da parte il mio lavoro. Sorride, però, e noi andiamo avanti. E’ difficile, sarei ipocrita a dire che non è così: Samuele cresce ma il suo corpo non ce la fa. Aggiungo che sono fortunata ad avere un papà e un marito bravissimo.
- Una mamma è sempre una mamma, nel bene e nel male. La tua vita è nettamente cambiata.
Chi mi conosce da tanti anni sa che la Giulia di prima è rimasta a Genova e non è più tornata a Polla. A volte vivo momenti di difficoltà e non ho voglia di parlare però è necessario andare avanti, perché una mamma questo fa! E poi se Samuele sorride anche noi dobbiamo farlo. Mi ritaglio un’oretta al giorno, cerco di fare sport per ricaricarmi nuovamente: una cosa che penso faccia bene a tutte le mamme.
- Com’è l’accesso alle cure e ai medicinali?
A livello di cure andiamo ogni 6 mesi al ‘Gaslini’ mentre, come dicevo prima, a livello farmacologico è molto impegnativo. Di questi farmaci solo tre sono per combattere l’epilessia, altri per l’ipertensione. Piano piano ho imparato a conoscere tutti i farmaci, anche quelli contro il dolore. Non bisogna aver paura della terapia del dolore: spesso si fa per dare una qualità di vita migliore. Quei farmaci servono per dare serenità a Samuele: è un bimbo che non deve soffrire. In Italia sono pochissimi gli specialisti che se occupano e al ‘Gaslini’ abbiamo trovato dei professionisti che ci supportano.
- Quanto è difficile vivere con una malattia rara in un territorio come il Vallo di Diano?
Facciamo parte di un’area interna che conta tante persone che ci vogliono bene. Il problema sono i pochi servizi: all’inizio mi sono dovuta arrabbiare tanto. Man mano la situazione è migliorata: Samuele va a scuola tre volte a settimana con l’infermiera e credo che nel Vallo di Diano non sia mai successo. Sta con gli altri bimbi, ha la sua sediolina speciale. Il Distretto sanitario è la nostra seconda casa, ormai. Dietro c’è una burocrazia che fa paura, spesso inutile. Fortunatamente all’Asl abbiamo trovato tante persone che cercano di aiutarci: mi rendo conto che anche loro imparano a conoscere man mano la nostra situazione. Si è creato un rapporto di rispetto reciproco con tutti. Le situazioni sono difficili, ma fortunatamente cerchiamo di supportarci.
- Si parla di rete. Negli anni passati la vostra storia è stata resa nota dopo che avete battagliato contro la compagnia aerea Volotea per le difficoltà vissute durante i viaggi.
Il problema nacque quando Samuele compì due anni. Dopo questa età la regola delle compagnie aeree impone che devono viaggiare vicino alla mamma. Samuele purtroppo non può stare seduto e quindi ogni volta era una storia infinita perché dovevo tenerlo in braccio. Durante un volo scoppiai e da qui nacque l’iniziativa ‘Metti le ali a Samuele’. Volotea mi contattò subito e dopo cinque anni posso dire che ancora mette le ali a Samuele. Questo è un buco nero dell’Italia: perché purtroppo è difficile muoversi con bimbi con disabilità gravissima. Non ci sono agevolazioni, non parlo di quelle economiche, ma di supporti. Gli ospedali pediatrici sono in tante città d’Italia, le mamme devono fare tanti chilometri: è necessario dunque regolamentare questi ‘viaggi della speranza’. Non possono viaggiare in auto o in treno ma non è giusto nemmeno dover battagliare per spiegare il ‘perché’ di tante situazioni. Queste mamme sono già stanche: lo Stato dovrebbe aiutarle nella gestione e nelle fasi che seguono l’organizzazione di un viaggio in un ospedale lontano diversi chilometri.
- Qual è il tuo sogno più grande?
Mi auguro che la ricerca vada sempre avanti. Bisogna sostenerla anche nel nostro piccolo. La diagnosi prenatale è fondamentale, bisogna affidarsi a persone competenti perché tante malattie rare devono essere diagnosticate ed un genitore deve sapere a cosa va incontro. Mi auguro che la ricerca sia un obiettivo sempre più grande.