Dopo la sentenza di primo grado (rito abbreviato) che nel novembre del 2015 condannò a 3 anni di reclusione Pantaleo D’Addato, alla guida dell’auto in cui morì la giovane studentessa originaria del Vallo di Diano Maria Dorotea Di Sia, per quasi 6 anni i genitori della ragazza, Donato e Pietrina, hanno atteso inutilmente che venisse fissata l’udienza di appello. La scorsa estate fu lanciato, attraverso una lettera, un accorato appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E proprio dall’Ufficio di Segreteria del Quirinale l’amara scoperta. La Corte di Appello di Bari si è pronunciata scontando la pena per D’Addato: da tre a due anni di reclusione, con la sentenza che risale addirittura al 9 luglio del 2018.
Abbiamo incontrato Donato Di Sia nella sua residenza di San Giovanni a Piro per discutere della vicenda.
- Signor di Sia, cosa ha pensato appena ha appreso della sentenza che ha definitivamente declassato la pena per D’Addato? E come è stato conoscerla in questo modo, direttamente da Mattarella, al quale si era rivolto per avere un aiuto?
Innanzitutto debbo ringraziare il Presidente Mattarella perché, comunque, si è dimostrato il vero padre della Nazione. In tutti questi anni, nonostante mi sia rivolto ad altri rappresentanti delle istituzioni e a vari politici, non sono riuscito a sapere per quale motivo non venisse fissata l’udienza di appello. Il Capo dello Stato in breve tempo ha risposto, anche se purtroppo quanto ha inviato lascia me e mia moglie Pietrina con l’amaro in bocca: la Corte di Appello aveva fissato l’udienza, facendo un concordato di diminuzione di pena da tre a due anni, cancellando anche le pene accessorie. Una sentenza irrevocabile, perché essendo trascorsi oltre 2 anni è inappellabile anche in Cassazione. Ed oggi ci ritroviamo di fronte ad un qualcosa di iniquo e scandaloso. La dimostrazione che ognuno può fare quello che vuole, basta solo trovare un buono studio legale per uscirsene tranquillamente puliti.
- Cosa intende fare ora?
Da un’altra sentenza della Cassazione ho scoperto che nel momento in cui in Appello il verdetto viene cambiato rispetto al primo grado, c’è l’obbligo di comunicarlo subito alla parte offesa per poter operare il ricorso in Cassazione e ad altre Corti superiori. Ed era questo il caso, visto che a D’Addato la pena è stata ridotta da 3 a 2 anni e non ci è stato comunicato alcunché dell’avvenuto appello. Ora siamo alla ricerca di uno studio legale appropriato che prenda a cuore il problema. La nostra speranza è di riuscire ad arrivare, puntando anche su questo pronunciamento della Cassazione, ad una revisione del processo per ottenere finalmente giustizia.
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